La Cassazione riconosce le competenze delle Infortunistiche Stradali!
Sentenza n. 485: Spese Legali anche nei 60 giorni.
Sentenza n. 5 (Patrocinio Forense) anno 1999
Sentenza Autovelox
Sentenza n. 389/04: TAR Abruzzo
Sentenza Responsabilità della P.A. per Omessa Manutenzione della Strada Pubblica
Sentenza n.12408/11: La Cassazione si pronuncia sulle Tabelle Milanesi: dovranno essere applicate su tutto il territorio nazionale
Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza
La Cassazione con sentenza 997 – 2010 della terza sezione civile ha sancito che:
“in caso di sinistro stradale, qualora il danneggiato abbia fatto ricorso all’assistenza di uno studio di assistenza infortunistica stradale ai fini dell’attività stragiudiziale diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno emergente non può essere esclusa per il fatto che l’intervento di detto studio non abbia fatto recedere l’assicuratore dalla posizione assunta in ordine all’aspetto della vicenda che era stato oggetto di discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata considerando, in relazione all’esito della lite su detto aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento”.
Un’altra sentenza, che si aggiunge ad altri precedenti giudizi di merito, che riconosce l’importanza della nostra professionalità nel settore.
Giudice di Pace di Cittadella
SENTENZA N° 485 DEP. IL 23.12.2005 R.G. M" 483/05 -A CRON. N REP. N"
REPUBBLICA ITALIANA UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI CITTADELLA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO II Giudice di Pace
in persona del magistrato Dott. Francesco La Valle ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile iscritto al n. 483/05 A del Ruolo Generale e promosso con atto di citazione depositato in data 12.10.2005
da
P.R. , rappresentato e difeso da Z. giusta mandato a margine all'atto di citazione notìficato e con domicilio eletto Z.. - attore;
contro
Società P.,
F Z e soc. RAS - RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTÀ S.P.A. , in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede a Milano in Corso Italia, n. 23, tutti rappresentati e difesi dall'avv. A. giusta mandati in cale alle copie rispettivamente notificate dell'atto di citazione e con domicilio eletto presso il suo studio in Padova convenuti;
Oggetto', risarcimento danni da incidente stradale.
Conclusioni per l'attore.- "I convenuti vengano condannati al pagamento, a favore dell'attore, della somma complessiva di € 440,28 oltre alle spese di notifica, di contributo unificato e diverse non documentabili o, comunque, di quella diversa somma che risulterà di giustizia, con interessi legali dal giorno del sinistro al saldo effettivo, entro i limiti di legittimazione attiva, di valore e competenza della presente causa",
Conclusioni per i convenuti- "In via preliminare A) accertarsi e dichiararsi la nullità/inesistenza/irregolarità del mandato apposto a marsine dell'atto di citazione, per l'effetto respingendo le avverse domande, B) accertarsi e dichiararsi la carenza di legittimazione attiva di R. P. per ciò che afferisce, quanto meno, le pretese spettanze professionali dell'agenzia infortunistica Z. e. C) accertarsi e dichiararsi la carenza di legittimazione passiva di tutti i convenuti per ciò che afferisce quanto meno, pretese spettanze professionali dell'Agenzìa infortunistica. D) accertarsi e dichiararsi la nullità dell'atto di citazione. Nel merito in via principale: respingersi ogni ulteriore pretesa attorea poiché infondata in fatto in diritto e in via subordinata per la denegata e comunque non creduta ipotesi in cui dovesse risultare dimostrato un maggior danno subito dall'attore Renato Piva, mantenersi l'ulteriore obbligazioni dei convenuti nei termini di una quantificazione del dovuto".
Fatto e diritto - Con atto di citazione notificato in data 29.8.2005, P. R. conveniva In giudizio avanti questo giudice di pace F., la soc. P. e la RAS - Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a., esponendo quanto segue:
"Va tenuto in debita considerazione quanto affermato dalla sentenza della Cassazione Civile Sez. Ili n. 17963 del 14.12.2002 laddove afferma che "In tema di risarcimento del danno da incidente stradale , li cd. danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura per l'impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione può essere liquidato in via equitativa, indipendentemente da una prova specifica in ordine al danno subito. L'intervento di un professionista, sia esso un legale o un perito di fiducia, così come previsto dall'ari. 5 ultimo comma legge 5 marzo 2001 n. 57 e come affermato nel regime precedente dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ. 12.10.98 n. 11090 in Giust Civ. 1999, I, 422) è necessario non solo per dirimere eventuali divergenza su punti della controversia, quanto per garantire già in questa prima fase là ove si osservi che l'istituto assicuratore non solo è economicamente più forte ma anche tecnicamente organizzato e professionalmente attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale".
I convenuti, costituitisi in giudizio per l'udienza fissata del 14,..11.2005, non contestavano la propria responsabilità in ordine al sinistro per cui è causa, ma contestavano il quantum debeatur ; sollevavano Inoltre le eccezioni preliminari di cui sopra. Alla successiva udienza del 12.12.2005 la causa passava in decisione sulle conclusioni sopra riportate.
Rileva II giudicante: - le eccezioni preliminari sono infondate. Infatti l'attore ha rilasciato allo Z. regolare mandato a norma dell'ari. 317 c.p.c., per il quale non è richiesta autenticazione; e sussista la legittimazione sia attiva che passiva, per le spese stragiudiziali, come ritenuto dalla Suprema Corte.
Nel merito, la domanda è fondata. Va riconosciuto sia il danno da fermo tecnico, sia per le spese stragiudiziali, giusta giurisprudenza della Suprema Corte pertinentemente richiamata in citazione.
Le spese seguono la soccombenza e, valutata l'entità della causa e dell'attività defensionale svolta alla stregua della tariffa professionale vigente, si liquidano come in dispositivo (comparativamente, in somma comunque inferiore a quella di € 888,32 che il procuratore dei convenuti ha chiesto nella sua nota spese).
P.Q.M.
II Giudice di Pace, definitivamente pronunciando tra le parti nella causa connotata in epigrafe, In accoglimento della domanda attorea condanna in via solidale tra loro F., soc. RAS Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a. in persona dei rispettivi legali rappresentanti prò tempore a pagare a P. R., a titolo di risarcimento del danno e nei sensi di cui in motivazione, la somma di € 440,28 oltre agli interessi di legge dal 16.5.2005 al saldo, e a rifondergli le spese di lite, che liquida in € 548,95 (di cui € 48,95 per anticipazioni non imponibili) e accessori.
Cittadella, 23 dicembre 2005.
Il Giudice di Pace Dott. Francesco La Vallo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Dott. Renato GRANATA Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI Giudice
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374 e dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1998 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra la G.V.P. s.r.l. e Luciano Costantini, iscritta al n. 290 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale l’opponente aveva conferito la procura per la rappresentanza e difesa in giudizio ad un laureato in giurisprudenza iscritto nel registro dei praticanti avvocati ammesso ad esercitare il patrocinio davanti alle preture del distretto, il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 26 gennaio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace); dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374; dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore). Queste disposizioni, complessivamente considerate, renderebbero ammissibile, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente e che il giudice rimettente condivide, il patrocinio e la difesa, per tutte le cause di competenza del pretore, ad opera di un praticante avvocato abilitato dal competente ordine professionale.
Il Pretore di Milano ritiene che consentire l’esercizio del patrocinio, per cause che possono presentare notevoli difficoltà tecniche, ai praticanti avvocati, i quali non hanno ancora superato l’esame di Stato prescritto per l’esercizio della professione, possa essere in contrasto con il diritto di difesa in giudizio (art. 24, secondo comma, Cost.), giacchè non sarebbe assicurata una difesa tecnica adeguata alle conseguenze permanenti che possono derivare alle parti, tanto più che il valore delle cause di competenza del pretore é stato decuplicato (art. 8 cod. proc. civ., nel testo sostituito dall’art. 3 della legge 26 novembre 1990, n. 353 e successive modificazioni). Inoltre consentire tale rappresentanza e difesa in giudizio contrasterebbe con l’art. 33, quinto comma, della Costituzione, che prescrive, appunto, l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, e determinerebbe, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, una irragionevole disparità nel trattamento di situazioni analoghe. Difatti nelle altre professioni, per il cui esercizio é egualmente prescritto il superamento di un esame di Stato, non si ammette che i praticanti, neppure temporaneamente e per questioni di minore importanza, possano svolgere autonomamente la relativa professione; inoltre situazioni analoghe verrebbero trattate in modo irragionevolmente diverso giacchè, a seguito della prevista soppressione delle preture, alcune cause pendenti davanti al pretore verranno decise da tale giudice, davanti al quale saranno ammessi al patrocinio i praticanti avvocati, mentre altre saranno proseguite dinanzi al giudice unico, davanti al quale, secondo il giudice rimettente, tale patrocinio non sarà ammesso.
Il Pretore di Milano richiama la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto necessario un controllo di idoneità tecnica, quando la legge riserva l’esercizio di un’attività professionale a determinati soggetti iscritti in un albo sulla base di requisiti culturali. Lo stesso giudice ricorda che é stata dichiarata la illegittimità costituzionale sia delle norme che ammettevano al patrocinio legale nei giudizi davanti al pretore soggetti per i quali non vi era un precedente controllo di idoneità tecnica, costituito dall’esame di Stato o da un equipollente di esso (sentenza n. 127 del 1985), sia delle norme che ammettevano al patrocinio legale dinanzi alle preture soggetti pur qualificati (notai o laureati in legge), per i quali tuttavia mancava un vaglio della specifica idoneità tecnica richiesta per la professione forense (sentenza n. 202 del 1987).
La questione di legittimità costituzionale é ritenuta rilevante per la definizione del procedimento pendente dinanzi al giudice rimettente, giacchè dalla soluzione di essa dipenderebbe la validità della procura conferita al praticante avvocato e, di conseguenza, la eventuale irrevocabilità del decreto ingiuntivo per il quale é stata proposta opposizione.
Considerato in diritto
1. ¾ La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Milano investe la norma che consente ai praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nell’apposito registro speciale tenuto dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, di essere ammessi ad esercitare il patrocinio, per un periodo non superiore a sei anni, davanti alle preture del distretto.
Questa disciplina é dettata dall’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), quale risulta dal testo prima sostituito dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami per la professione di procuratore legale) e poi modificato, solo per la durata del patrocinio consentito ai praticanti, dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale). La stessa disciplina sarebbe, ad avviso del giudice rimettente, tuttora vigente, non essendo stata abrogata nè dall’art. 82, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (che, salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, stabilisce che anche davanti al pretore le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente), nè dall’art. 47 della stessa legge (che, nel contesto della istituzione del giudice di pace, abroga norme incompatibili con la nuova disciplina), disposizioni, anche queste, denunciate dal giudice rimettente.
Il Pretore di Milano ritiene che la norma che consente l’esercizio del patrocinio da parte dei praticanti avvocati sia in contrasto: a) con il diritto inviolabile di difesa in giudizio (art. 24, secondo comma, Cost.), che implica un’adeguata difesa tecnica; b) con la prescrizione di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33, quinto comma, Cost.); c) con il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), giacchè per un verso sarebbe irragionevole la disparità di trattamento rispetto ad altre professioni, per il cui esercizio é richiesta l’iscrizione in un albo professionale ed i cui praticanti non possono svolgere autonomamente la professione, sia pure per un tempo determinato e per questioni di minore importanza; per altro verso, a seguito della prevista soppressione delle preture, la disciplina della difesa e la sua adeguatezza sarebbero diverse per cause analoghe, essendo solo per alcune di esse ammesso il patrocinio dei praticanti a seconda che vengano attribuite alla cognizione di giudici diversi.
2. ¾ La questione di legittimità costituzionale é da considerare riferita esclusivamente all’art. 8 dell’ordinamento della professione di avvocato (regio decreto-legge n. 1578 del 1933), il solo che consente di ammettere alla rappresentanza e difesa in giudizio, a determinate condizioni, i praticanti avvocati, mentre invece le altre disposizioni denunciate non disciplinano tale situazione.
3. ¾ La questione, così come é stata prospettata, non é fondata.
La legge può riservare agli iscritti in appositi albi l’esercizio di determinate professioni, che presuppongono una particolare capacità tecnica ed il cui esercizio richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell’attività professionale, sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità (sentenze n. 456 del 1993, n. 29 del 1990 e n. 77 del 1964). Per l’abilitazione all’esercizio professionale é prescritto un esame di Stato (art. 33, quinto comma, Cost.), che consente di verificare l’idoneità tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere alla professione ottenendo l’iscrizione nell’apposito albo. Il legislatore può stabilire che in taluni casi si prescinda dall’esame di Stato (sentenza n. 127 del 1985) quando vi sia stata in altro modo una verifica di idoneità tecnica e sussistano apprezzabili ragioni che giustifichino l’eccezione.
In base a questi criteri la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto priva di razionale giustificazione l’ammissione al patrocinio davanti al pretore, senza limiti di tempo ed al di fuori di ogni esigenza apprezzabile, di persone diverse dagli avvocati e procuratori, non preventivamente sottoposte al controllo di idoneità tecnica costituito dall’esame di Stato o da un equipollente di esso. Si é così ritenuto di escludere che possano esercitare la professione forense, sia pure nei limiti di competenza del pretore, patrocinatori ed esercenti altre attività professionali, quale quella notarile, che, pur in possesso di un titolo culturale o di una qualifica professionale, mancano dell’indispensabile vaglio della specifica idoneità tecnica, che deve caratterizzare l’attività professionale forense (sentenze n. 202 del 1987 e n. 127 del 1985).
4. ¾ La disposizione denunciata consente di ammettere i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica professionale ed hanno frequentato per un anno lo studio di un avvocato, ad esercitare per non più di sei anni il patrocinio davanti alle preture del distretto nel quale é compreso l’ordine degli avvocati nel cui registro essi sono iscritti. L’ammissione al patrocinio, per un tempo determinato e per questioni di limitata competenza, si inserisce nel sistema della pratica forense, che deve essere lodevolmente e proficuamente esercitata per almeno due anni consecutivi, per partecipare agli appositi esami, superati i quali é possibile conseguire l’iscrizione nell’albo professionale.
La pratica deve essere svolta presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato; ma, dopo un anno, può essere anche svolta al di fuori dello studio, esercitando, appunto, il patrocinio davanti alle preture e trattando un determinato numero di questioni (art. 8 del d.P.R. 10 aprile 1990, n. 101).
Il dubbio di legittimità costituzionale proposto dal Pretore di Milano non investe la durata dell’esercizio del patrocinio da parte del praticante, ma riguarda esclusivamente la possibilità che tale patrocinio possa, per un tempo determinato, aver luogo.
La disciplina della pratica forense prevede che essa "comporti sempre il compimento delle attività proprie della professione", che comprendono la predisposizione e redazione di atti processuali (art. 2 e 6 del d.P.R. n. 101 del 1990), giacchè il compimento di tali atti costituisce un elemento della formazione professionale. Ciò che inizialmente per almeno un anno avviene sotto il controllo e con la responsabilità di un avvocato. Solo dopo questo primo periodo di tirocinio, la pratica, con il compimento degli atti propri della professione che essa comporta, può essere continuata mediante l’autonoma trattazione di almeno venticinque procedimenti all’anno (art. 8 del d.P.R. n. 101 del 1990). E’ da ritenere che la temporanea e limitata ammissione al patrocinio che tale pratica comporta presupponga una previa verifica e valutazione, da parte dello stesso ordine professionale, del tirocinio già svolto (artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 101 del 1990).
Questo sistema non configura una deroga alla regola dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, giacchè consente una attività, soggetta al controllo dell’ordine professionale, compresa nell’ambito della pratica forense e che si giustifica nei limiti in cui essa sia preordinata agli esami di abilitazione; sicchè in ogni caso deve essere disposta la cancellazione dall’apposito registro, se gli esami non vengano superati nel termine previsto.
Non é dunque violato l’art. 33, quinto comma, della Costituzione. Nè é leso il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.), giacchè la parte che conferisce il mandato ad un praticante avvocato, si avvale della difesa tecnica di un soggetto che, sulla base di determinati requisiti, é stato, sia pure temporaneamente, ammesso al patrocinio. Infine la configurazione del patrocinio, per un tempo determinato e per questioni di limitata competenza, come elemento della pratica professionale forense, esclude la denunciata violazione del principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.). Non può, difatti, essere effettuato utilmente il raffronto con le discipline di altre professioni, peraltro neppure specificate nell’ordinanza di rimessione, prendendo in esame uno solo degli elementi che caratterizzano le attività preordinate all’accesso alla professione. Nè, infine, hanno alcun fondamento le situazioni denunciate in relazione al patrocinio dei praticanti avvocati dinanzi al giudice unico, patrocinio al quale essi continueranno ad essere ammessi limitatamente ai procedimenti in precedenza attribuiti alla competenza del pretore (art. 246 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374 e dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 33, quinto comma, della Costituzione, dal Pretore di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Cesare MIRABELLI
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA 21 LUGLIO 2005, n. 15348
Svolgimento del processo
Il Giudice di pace di Borgo 8. Lorenzo, con contenga del 19 marzo 2002, pronunciando sull'opposizione proposta da Gaia B. avverso il verbale n. 69831/2001/V con cui la Polizia Municipale di Borgo San Lorenzo gli aveva contestato la violazione dell'art. 142, 8 comma, del codice della strada, ha annullato il provvedimento impugnato, osservando: 1) che l'infrazione era stata accertata a mezzo di fotoradar-tachimetro (ed, autovelox) mod. 104/C2 in postazione fissa (cd. autobox), operante senza la presenza di agenti proposti; 2) che il servizio di rilevamento così predisposto dal Comune di Borgo San Lorenzo escludeva la possibilità di contestazione immediata, anche in situazioni nelle quali, come nella specie, ciò sarebbe stato possibile sia per le caratteristiche dell'apparecchio di rilevamento, che consentiva la lettura della velocità contestualmente al passaggio dei veicoli, sia per l'ampiezza e l'andamento rettilineo della strada idonea a consentire il fermo del veicolo in condizioni di sicurezza; 3) che, pertanto, la postazione fissa di rilevazione della velocità senza assistenza di personale non rispondeva ai precetti degli artt. 200 del Codice della Strada e 183 del relativo regolamento, che impongono rispettivamente la contestazione immediata della violazione al trasgressore e la visibile presenza degli organi di polizia e degli agenti preposti alla regolamentazione del traffico quando operano sulle strada; 4) che, in senso contrario, non poteva darsi rilievo al disposto dell'art. 384 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada, che, in quanto norma secondaria, poteva soltanto specificare ed interpretare il disposto legislativo senza apportare innovazioni all'ordinamento nè, tenuto conto della diversità di situazioni, si poteva invocare in via di interpretazione estensiva o analogica la disciplina dettata dal d.p.r. n. 250/1999 per gli impianti automatici di rilevazione dell'accesso nei centri storici.
Avverso detta sentenza il Comune di Borgo San Lorenzo propone ricorso per Cassazione, lamentando, con un unico complesso motivo, la violazione dell'art. 14 L. n. 689/1981, degli artt. 200 e 201 c.d.s., dell'art. 384 del d.p.r. n. 495/1992 nonchè il vizio di motivazione;
in particolare, secondo il ricorrente, la sentenza impugnata; a)aveva erroneamente disapplicato la norma dettata dall'art. 384 d.p.r. 495/1992 cit., senza avvedersi che detta disposizione non ha carattere innovativo e non fa che identificare alcuni casi di impossibiliti di contestazione immediata; b) aveva erroneamente ritenuto vietato l'uso, da parte della P.A., di ogni mezzo che non consenta la contestazione immediata, e ciò in contrasto tanto con la previsione del già citato art. 384 lett. E, tanto con il principio di insindacabilità della discrezionalità amministrativa nell'organizzazione del servizio, senza tenere conto che in relazione al controllo degli accessi nei centri storici, l'art. 5 del d.p.r. n. 250/1999 ribadiva la legittimità dell'accertamento delle violazioni a mezzo di apparecchi automatici senza immediata presenza di personale di polizia. Gaia B. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato. La questione della legittimità della utilizzazione di apparecchiature automatiche di rilevamento della velocità operanti senza la presenza di organi della polizia della strada viene sottoposta per la prima volta all'esame di questa Corte, cui per il passato sono ascrivibili soltanto alcuni obiter dicta (Cass. 20 marzo 1998, n. 2952; Cass. 7 novembre 2003, n. 16713, entrambe, peraltro, massimate sul punto). A chiarimento della questione si deve anche precisare che la disciplina oggi vigente ammette certamente l'uso di tali apparecchiature, prevedendo specifiche condizioni per il loro utilizzo (art. 4 del decreto legge20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, con la legge 1 agosto 2002, n. 168 nonchè art. 4 del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito, con modificazioni, con la legge 1^ agosto 2003, n. 214). Tuttavia, poichè l'accertamento e la contestazione della violazione al ricorrente sono anteriori alla disciplina oggi vigente, questa Corte è chiamata a decidere se le disposizioni sopra ricordate abbiano avuto carattere innovativo, consentendo modalità di accertamento prima non consentite ovvero se, al contrario, la nuova disciplina abbia limitato una precedente più ampia possibilità di utilizzazione di apparecchiature automatiche di rilevamento della velocità.
La questione non può essere risolta sulla base del tenore della nuova disciplina nè sulla basa dei relativi lavori preparatori.
L'art. 4 del d.l. n. 121/2002 (come modificato dall'art. 7, comma 9, del d.l. n. 151/2003), infatti, al primo comma stabilisce che i dispositivi o mezzi tecnici di controllo finalizzati al rilevamento a distanza dalle violazioni di agli artt. 142 (eccesso di velocità), 148 (disciplina del sorpasso) e 176 (circolazione sulle autostrade e strade extraurbane principali) del codice della strada possono essere utilizzati o installati, dandone informazione agli automobilisti, sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali nonchè sullestrade extraurbane secondarie individuate con decreto del prefetto.
Si tratta, pertanto, di una norma il cui precetto innovativo non può essere individuato nel fatto di consentire l'uso di dispositivi di rilevamento a distanza (tra i quali rientra il cd. autovelox), già sicuramente consentiti (come è pacifico e come si ribadirà più avanti) ma nel fatto di disciplinarne l'uso, consentendolo solo in alcune strade e con l'obbligo di darne informazione agli automobilisti.
Al terzo comma, lo stesso articolo 4, dopo avere previsto che "la violazione deve essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi che - consentano di accertare, anche in tempi successivi, le modalità di svolgimento dei fatti", stabilisce che "se vengono utilizzati dispositivi che consentono di accertare in modo automatico la violazione, senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti, gli stessi devono essere omologati ai sensi dell'art. 45, comma 6, dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285", La norma, quindi, come risulta evidente dal suo tenore testuale, non introduce la possibilità di un controllo automatico senza presenza di organi di polizia stradale, ma presupponendo ("se vengono utilizzati") che una tale modalità di controllo sia già consentita, si limita a stabilire la necessità che i dispositivi siano approvati od omologati, con una disposizione il cui significato, in presenza di una norma generale che già prevede omologazione od approvazione dei dispositivi automatici di rilevamento (art. 45 c.d.s.), deve ritenersi quello di esigere che approvazione ad omologazione si riferiscano specificamente ad una utilizzazione senza presenza di personale.
Neppure la relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n.121/2002 offre un qualche elemento sul carattere innovativo (nel senso di consentire per la prima volta rilevazioni automatiche senza presenza degli organi di polizia) della disciplina, limitandosi a precisare che "le norme contenute nell'art. 4 del decreto-legge disciplinano i controlli cosiddetti 'remotì e la contestazione differita delle violazioni al nuovo codice della strada, al fine di garantire l'effettività dei controlli su strada, e quindi la tutela della sicurezza nella circolazione, anche nelle situazioni in cui l'accertamento diretto da parte degli organi di polizia stradale sia difficoltoso o pericoloso".
Lo stesso deve dirsi per l'art. 4 dal d.l. n. 151/2003, che al primo comma lett. B prevede l'inserimento nel testo dell'art. 201 c.d.s. del comma 1-bis contenente la disciplina, trasferita quindi dal regolamento alla legge, dei casi nei quali è consentita la contestazione differita e dei casi (attraversamento di un incrocio con il rosso, violazioni accertate con i dispositivi di cui all'art. 4 d.l. 121/2002 cit., accessi nelle zone a traffico limitato e circolazione sulle corsie riservate) nei quali non è necessaria la presenza degli organi di polizia. Anche in questo caso la norma non offre elementi sistematici per stabilire se la disciplina abbia carattere innovativo perchè consente controlli automatici prima non consentiti (in realtà solo l'attraversamento con semaforo rosso è previsto espressamente per la prima volta, mentre le altre fattispecie erano già espressamente previste dal citato art. 4 del d,l, 121/2002 e dall'art. 17, comma 133-bis, della legge n. 127/1997)ovvero se abbia carattere limitativo perchè individua le sole ipotesi nelle quali tali controlli sono consentiti.
Si deve, peraltro, osservare che nella relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 151/2003 si afferma che "con una modifica all'art. 201 del codice della strada si sono voluti disciplinare in nodo più organico i casi in cui è consentita la notificazione successiva del verbale di contestazione, anche allo scopo di armonizzarli con le recenti disposizioni in materia di controlli remoti introdotti dal decreto-legge n. 121 del 2002, puntualizzando altresì i casi in cui le apparecchiature di rilievo delle infrazioni possono essere impiegate in modo automatico e quando invece e necessaria la presenza dall'organo di polizia". Pertanto, da un lato si assegna alla nuova disciplina una funzione di organica riorganizzazione e di puntualizzazione e d'altro canto, con l'espressione "controlli remoti introdotti", si attribuisce alla disciplina del d.l. 121/2002 una portata innovativa (quanto ai controlli remoti, con o senza la presenza di operatori) che, tuttavia, come si è visto, non trova alcuna conferma nè nel testo del d.l. n. 121/2002 nè nella relativa relazione. In proposito, inoltre, si deve escludere che l'opinione espressa nella relazione possa attribuire al d.l. n. 151/2003 valore di interpretazione autentica del d.l. n. 121/2002; infatti, è principio pacifico che"l'interpretazione autentica è figura di carattere eccezionale, e come tale deve risultare in modo esplicito ed inequivocabile, senza che sia possibile dedurne la ricorrenza dai lavori preparatori" (v. ex multis Cass. 17 gennaio 2003, n. 634).
La questione, in assenza di significativi elementi offerti dalla nuova disciplina e dai relativi lavori preparatori deve, quindi, essere risolta sulla base della sola disciplina anteriore, dettata dal d. l.vo n. 285 del 1992 e successive modificazioni, distinguendo il tema della contestazione differita da quello, ovviamente connesso, dell'accertamento differito rispetto al tempo della violazione.
Quanto al primo tema, mi deve osservare che in base al disposto del primo comma dell'art. 201 c.d.s. (non modificato dalla novella del 2003) la contestazione differita è consentita quando la violazione non può essere immediatamente contestata. B', pertanto, scontato cheun sistema di controllo che opera automaticamente, senza la presenza di organi di polizia della strada, consenta per sua natura soltanto la contestazione differita e non anche quella immediata. E', inoltre, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, dopo un'iniziale incertezza (v. in senso contrario Cass. 2 agosto 2000, n. 10107) l'insindacabilità, da parte del giudice, delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione nelle modalità di organizzazione del servizio di vigilanza sulle strade, essendo escluso in particolare che possa essere censurato il mancato dispiegamento di una pluralità di pattuglie, al fine specifico dell'immediata contestazione delle violazioni ai limiti di velocità (Cass. 5 novembre 1999, n. 12330; Cass. 16 marzo 2001, n. 3836; Cass. 25 maggio 2001, n. 7103; Cass. 16 settembre 2002, n. 13475; Cass. 14 marco 2005, n. 5528), ovvero che possa essere censurata la tipologia degli strumenti utilizzati (Cass. 1 agosto 2003, n. 11722).
Alla stregua di tale orientamento, al quale il Collegio ritiene di dovere dare continuità, il problema della legittimità di controlli automatici eseguiti senza la presenza dell'organo di polizia deve essere risolto nell'ambito del secondo tema sopra ricordato. Al riguardo si deve preliminarmente osservare che, tanto in materia di reati quanto in materia di sanzioni amministrative, e ovvio principio generale quello secondo cui l'accertamento di una violazione di legge può essere successivo al momento in cui la stessa viene posta in essere. In tal senso è chiaro, per quanto attiene alle sanzioni amministrative, il sistema dettato dagli artt. 13 art. 14 della legge n. 689 del 1981, che consentono di distinguere il momento in cui viene commessa la violazione dal momento in cui si conclude il procedimento di accertamento (v., tra le altre, Cass. 3 luglio 2004, n. 12216).
Tali principi, peraltro, non sono direttamene applicabili all'infrazioni al codice della strada che detta, agli artt. 200 e 201, una speciale disciplina in tema di accertamento e contestazione (sulla specialità della disciplina della contestazione differita delle violazioni del codice della strada v. Cass. 28 giugno 2002, n. 9502; Cass. 3 aprile 2000, n. 4010). Rispetto a detta disciplina, peraltro, l'attenzione della giurisprudenza di questa Corte si e soffermata principalmente sulla questione della individuazione dei casi in cui è consentita la contestazione differita piuttosto che sulla diversa questione della legittimità di un accertamento successivo, che, tuttavia, e stata implicitamente affermata, insieme alla legittimità della contestazione differita, giudicando in fattispecie di utilizzazione di apparecchiature che consentono la determinazione dell'illecito in un momento successivo a quello della sua commissione.
Del resto, la possibilità che l'accertamento della violazione avvenga "per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento che consentono la determinazione dell'illecito in tempo successivo" (ipotesi distinta da quella della determinazione dell'illecito - dopo che il veicolo oggetto del rilievo sia già a distanza dal posto di accertamento). E' prevista espressamente dall'art. 384 dal regolamento. Più in generale, in ogni caso, questa Corte non ha mancato di precisare che l'inosservanza dai limiti di velocità può essere legittimamente accertata anche con fonti di prova diversa da quella prevista dall'art. 142, sesto comma, c.d.S. (a cioè "la risultanza di apparecchiatura debitamente omologata, nonchè la registrazioni dal cronotachigrafo ad i documenti relativi ai percorsi autostradali") e perciò anche con modalità di accertamento meramente deduttive (Cass. 18 maggio 2000, n. 6457) da fatti (si pensi alla lunghezza dalle tracce di frenata) rilavati successivamente alla violazione.
In proposito, si deve precisare che, quando la violazione del codice della strada viene accertata mediante dispositivi di controllo, l'accertamento è un atto dall'organo di polizia stradale del tutto distinto dalla mera registrazione analogica o digitale ovvero dalla correlata documentazione fotografica o video del fatto che integra la violazione esso consiste nella lettura da parte degli organi di polizia del supporto sul quale i dati sono registrati dall'apparecchiatura di controllo. In questo senso già Cass. 9 maggio 2002, n. 6634 ha chiarito che nelle ipotesi di accertamento dell'infrazione a mezzo dell'autovelox alla macchina è delegato solo il rilevamento dei dati da porre a fondamento dalla contestazione dell'illecito mentre l'attività amministrativa, consistente nella redazione dal verbale contenente i dati desunti dalla macchina è eseguita dall'organo accertatore".
Ribadita, quindi, la possibilità di un accertamento successivo, resta da stabilire sa già alla stregua dalle disposizioni anteriori all'entrata in vigore del d.l. n. 121/2002 era legittimo che i dispositivi di rilevamento della velocità operassero anche in assenza degli organi di polizia stradale. Orbene nessuna disposizione dal codice della strada escluda tale possibilità. In senso contrario non si può richiamare il disposto dell'art. 12 c.d.s. (in questo senso, invece, Cass. n. 2952/1998 cit.), che si limita ad individuare gli organi cui è affidato l'espletamento dai servizi di polizia stradale.
Neppure e possibile invocare l'art. 345 dal regolamento di esecuzione (in questo senso, invece, Cass. n. 16713/2003 cit.), secondo cui le apparecchiature destinate a controllare l'osservanza dai limiti di velocità devono essere gestite direttamente dagli organi di poliziastradale e devono essere nella disponibilità dagli stessi. Infatti, gestione diretta e disponibilità non significano affatto presenza degli organi di polizia stradale, ma soltanto, rispettivamente, che siano essi a decidere dove collocare gli apparecchi e quando farli funzionare nonchè a prelevare e leggere i dati e che siano solo essi a poter accedere agli apparati ed ai dati. L'impossibilità di fondare su tale formula la necessità della presenza degli organi di polizia stradale trova conferma nel fatto che gestione diretta e disponibilità sono ribaditi, con identica formula, nel testo dell'art. 5 del d.p.r. 22 giugno 1999, n. 350 ("regolamento recante norme per l'autorizzazione alla installazione e all'esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, a norma dell'art. 7, comma 133-bis, della legge 15 maggio 1997, n. 127), che ha previsto espressamente che "durante il funzionamento degli impianti non è necessaria la presenza di un organo della polizia stradale". Il che, se ve ne fosse ancora bisogno, dimostra che gestione diretta e disponibilità da parte degli organi di polizia stradale non implicano necessariamente la loro presenza.
In conclusione, oltre alla necessità, nel senso sopra chiarito, della gestione diretta e della disponibilità da parte degli organi di polizia stradale, prima del d.l. 121/2002 e della novella del 2003 (art. 4 del d.l. 151/2003) l'unico limite posto dal codice della strada e dal suo regolamento di esecuzione alla possibilità di utilizzare dispositivi operanti senza la presenza degli organi dipolizia della strada "per l'accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione (art. 45, sesto comma, c.d.s.), ivi compresi i dispositivi per il rilevamento della velocità, è rappresentato dalla necessità che tali dispositivi siano omologati ed approvati (art. 45 cit. e art. 192 rag.).
Pertanto, la sentenza impugnata, non essendo possibile decidere nel merito per la presenza di altro motivo di opposizione rimasto assorbito, deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di Cassazione al Giudice di pace di Borgo San Lorenzo in persona di diverso giudicante.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, al Giudice di pace di Borgo San Lorenzo in persona di diverso giudicante.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’ABRUZZO
Sezione staccata di Pescara
N.D.....389/04...
N.R.G.60/2004
composto dai magistrati:
-Antonio CATONI presidente
-Michele ELIANTONIO consigliere
-Dino NAZZARO consigliere relatore
ha pronunciato la seguente SENTENZA
Nel giudizio proposto con ric. n. 60 del 2004 da DI PAOLO Salvatore, costituito con l’avv. Giulio CERCEO, come in ricorso;
CONTRO
L’ISVAP (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di Interesse collettivo), quale rappresentato, in giudizio con l’Avvocatura dello Stato;
PER LA DECLARATORIA (CON DIRITTO DI ACCESSO) DELLA ILLEGITTIMITA’ DEL SILENZIO, mantenuto sulla istanza di parte ricorrente del 26.11.2003, con la quale era stato esercitata la “actio ad exibendum” dei documenti richiesti;
visto il ricorso e la memoria di parte, la costituzione dell’Avvocatura, con memoria, ed i documenti depositati;
udito alla camera di consiglio del 25 marzo 2004 il consigliere Dino NAZZARO e gli avv. G. CERCEO e A. BUSCEMI;
visto le conclusioni rassegnate in atti;
ritenuta la causa per la decisione e considerato, quanto segue, in
FATTO e DIRITTO
-il ricorrente è stato vittima di un incidente stradale, causato da ignoti; rivoltosi alla ISVAP, per conoscere gli sviluppi e/o gli esiti della sua denuncia, per comportamento omissivo, nei confronti dell’assicurazione designata per il trattamento del caso, non ha ottenuto dall’Istituto gli “atti del procedimento instaurato” e viene a censurare tale “silenzio inadempimento”, ai sensi dell’art. 22 e ss. della legge n. 241/1990.
Entrambe le difese si sono profuse in apprezzabili argomentazioni, stante anche la novità, per alcuni aspetti, della fattispecie.
L’Avvocatura osserva che l’attività di vigilanza dell’ISVAP è soggetta al “segreto d’ufficio” (L. n. 576/1982, art. 5, comma 2°, artt. 2 e 3, lettera h-, regolamenti n. 39 e n. 40 /1995), il tutto in conformità della normativa europea, che riconosce e tutela tale segreto nell’attività di vigilanza assicurativa (direttive CE n. 92/49 e n. 92/96, artt. 15 e 16), e che, comunque, alla “denuncia”, non sarebbe conseguito alcun procedimento “aperto al privato”.
Non sussisterebbe, altresì, alcun interesse del ricorrente, che ha già fatto ricorso alla giustizia ordinaria, a partecipare all’eventuale procedimento sanzionatorio, nei confronti dell’impresa designata alla liquidazione del sinistro; il controllo pubblico, infine, non potrebbe essere strumentalizzato a fini di parte, né il privato potrebbe interferire in valutazioni decisionali, tipiche dell’autorità di vigilanza.
La richiesta di parte ricorrente, per un accesso informativo e/o partecipativo, come si evince dalla nota del 26.11.2003, attiene agli eventuali provvedimenti, adottati dall’ISVAP nei confronti della CONSAP e/o dell’impresa designata alla trattazione del caso.
IL diritto di accesso viene fatto discendere dai principi generali del procedimento amministrativo (artt. 6,9,10 L. 241/1990) e dal fatto che anche nelle procedure istruttorie svolte dall’ISVAP è prevista, “a garanzia”, la nomina di un responsabile del procedimento.
L’ISVAP, invero, era stata interpellata in merito ad un risarcimento, per danni da circolazione stradale (investimento del Di Paola da parte di un motociclista rimasto sconosciuto), causato da ignoti ed il cui pagamento spettava alla SAI – FONDIARIA, quale impresa designata, ma che non è mai avvenuto, anche se vi è stata una lunga trattativa, e l’interessato ha dovuto fare ricorso alla giustizia civile; nell’esposto, si stigmatizzava il comportamento tenuto dall’assicurazione, richiedendosi l’applicazione della sanzione di legge e si restava in attesa di conoscere l’esito della denuncia.
L’ISVAP rispondeva che si era intervenuto nei confronti della Fondiaria – Sai e non anche verso la Consap, soggetta alla vigilanza ministeriale; che le questioni di responsabilità e/o quantificazione del danno non rientrano tra le valutazioni dell’Istituto, anche perché il fatto dannoso era stato già rimesso alla giustizia; per gli eventuali provvedimenti sanzionatori si opponeva il segreto d’ufficio, stabilito dalla legge.
L’interesse del ricorrente, invero, è collegato al suo esposto – denuncia, teso all’apertura di un procedimento di accertamento di “responsabilità” per “omessa formulazione dell’offerta” e/o “omessa corresponsione della somma offerta”, richiedendo la sanzione del caso; quel che si vuol sapere è, in effetti, se vi è stato un procedimento, se lo stesso è in atto, se sia stato concluso e se sia stata adottata una sanzione a carico della società.
La richiesta del 28.11.2002 è formulata in modo ampio e generale, nel senso che è diretta a voler prendere visione degli “atti del procedimento” sanzionatorio, per il quale era stato già interposto il segreto d’ufficio.
IL regolamento interno dell’Istituto (5.9.1995) riconosce il “diritto d’accesso” e, all’art. 4, stabilisce che “l’ufficio competente deve assumere con provvedimento espresso, le sue decisioni dandone immediata comunicazione al richiedente”; nella fattispecie dovrebbe ritenersi che quanto comunicato con la nota del 31.10.2003 prot. 216305, avrebbe concluso il rapporto con l’istante, poiché quanto relativo all’eventuale procedimento sanzionatorio, era escluso dal diritto di accesso, stante la tutela del segreto d’ufficio, che rappresenta, ai sensi del regolamento sulle cause di esclusioni del diritto di accesso (art. 2), un documento di contenuto particolare, rientrante nell’esercizio delle funzioni di vigilanza.
La norma regolamentare è coerente con la tutela primaria, di cui all’art. 5, comma 2°, della legge n. 576/12.8.1982, quale sostituito dall’art. 3 legge 9.1.1991 n. 20 e poi modificato dall’art. 4 del d. lgs. n. 373/13.10.1998; tale disposto è tassativo nel riconoscere che i “dati, le notizie e le informazioni acquisiti dall’ISVAP nell’esercizio delle sue attribuzioni sono tutelati dal segreto d’ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni”; il successivo comma 4°, aggiunge, altresì, che i “funzionari dell’ISVAP nell’esercizio delle funzioni sono pubblici ufficiali e sono tenuto al segreto d’ufficio”, il che significa che anche le funzioni del “responsabile del procedimento”, figura generale e comunque necessaria, implicano l’obbligo del segreto d’ufficio per quanto fatto in punto d’istruttoria.
Sul piano logico, c’è da chiedersi che senso ha il concedere ad un soggetto, “uti civis” ed utente della “assicurazione obbligatoria per la R.C.”, la possibilità di fare una denuncia all’Autorità di vigilanza, contro il comportamento, ritenuto dilatorio e scorretto, di una società di assicurazione, se il medesimo non possa poi venire a conoscenza dell’esito, esaurendosi il tutto con il solo atto propulsivo e riservando all’ISVAP ogni valutazione successiva, destinata a restare un segreto d’ufficio; la contraddizione è evidente ed impone un saggio equilibrio tra “poteri” e “diritti”.
Altro aspetto significativo della vicenda è “l’interesse”, che deve essere collegato ad una “situazione giuridicamente rilevante”; il denunciante che ha adito, ai fini risarcitori, l’autorità giudiziaria, non perde affatto il suo autonomo “interesse procedimentale”, teso ad ottenere la sanzione di un comportamento, sul distinto piano amministrativo.
La questione risarcitoria, invero, fuoriesce dall’ambito dell’accesso, sia perché non rientra nei compiti dell’ISVAP, sia perché la vicenda attiene ad altra giurisdizione, pur rappresentando una conseguenza diretta del “comportamento” denunciato dall’incidentato.
Questi, pertanto, ha un sua posizione differenziata e qualificata, quale soggetto denunciante più che danneggiato, ed è interessato, non tanto all’efficienza di un servizio pubblico (motivo tipico di un’azione e/o ispezione popolare), ma all’esito del suo esposto - denuncia.
L’art. 5 della legge n. 57/5.3.2001 n. 57, modificato peraltro dalla legge n. 273/12.12.2002, è preciso nel disporre diritti, doveri ed oneri, sia per l’assicuratore, sia per il sinistrato, richiedendo comportamenti diligenti ed accelerati, tesi alla sollecita definizione del caso; il comma 8° dell’art. 3 del d.l. 23.12.1976 n. 857, convertito in legge 26.2.1997 n. 39, quale sostituito dalla legge 5.3.2001 n. 57, prevede delle sanzioni per l’inosservanza, da parte dell’impresa di assicurazione dei termini prescritti ed in ordine alla “omessa formulazione dell’offerta, all’omessa comunicazione dei motivi della mancata offerta o all’omessa corresponsione della somma offerta”; è ovvio che tali sanzioni possono scattare solo su segnalazione dell’interessato e, fatto salvi i compiti istituzionali dell’ISVAP ed il segreto d’ufficio per l’attività istruttoria, l’esito della procedura, quale essa sia, deve avere una visibilità esterna, almeno per il denunciante, quale diretto interessato; l’art. 3 del regolamento n. 40, garantisce agli interessati la “visione degli atti”, e (lett. h-) “in materia di esposti di privati”, mentre sono sottratti all’accesso “le parti che contengono dati … su soggetti riconoscibili”.
IL rigoroso “segreto d’ufficio” è, pertanto, contenuto nei limiti della “riservatezza” dei “terzi” e dei compiti di stretta “vigilanza”; del resto il regolamento n. 39 non può riconoscere il “diritto d’accesso” in teoria e vanificarlo in pratica.
Se l’attività “in procedendo” è svolta d’ufficio ed attiene a compiti istituzionali, da farsi riservatamente, in considerazione del tipo di attività “di vigilanza”, che non tollera interferenze, è pur vero che, una volta conclusa l’istruttoria ed il procedimento è definito, il suo esito deve essere conoscibile al pari di ogni altra attività decisionale di controllo, almeno da parte dell’interessato, ponendosi, diversamente, aspetti di costituzionalità (C. Cost. n. 460/3.11.2000; C.S., VI, n. 1646/28.3.2003).
Se non è possibile concedere “l’accesso partecipativo”, stante la tipicità (e l’esclusività) dell’attività di vigilanza e le restrizioni imposte dalla normativa, non si vede quali impedimenti vi siano per “l’accesso informativo” della procedura, conseguente all’esposto, trattandosi pur sempre di una funzione garantistica, svolta nell’interesse generale, e destinata ad incidere sulle vicende personali del ricorrente, quanto meno in punto di comparazione tra “comportamento ante causam” e “risarcimento”.
La stessa ISVAP, nella nota del 31.10.2003, fa presente al diretto interessato di essere intervenuta nei confronti della società Fondiaria Sai Spa, senza nulla specificare, lasciando il discorso aperto, poiché le imprese d’assicurazione sono state invitate a fornire “adeguata risposta di merito agli interessati ed all’Istituto”, il che non è stato; non solo, ma si prospetta anche un “eventuale ulteriore seguito”, nel senso che l’istante ben poteva segnalare altri fatti e/o circostanze; questi, comunque, ha diritto ad avere una risposta esaustiva e definitiva.
Conclusivamente, valutato positivamente l’interesse di parte ricorrente al cd. accesso informativo, si accoglie, in conformità, il gravame, riconoscendo al medesimo il diritto a prendere visione e/o ad estrarre copia del provvedimento finale, conseguente alla denuncia da questi presentata.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,
-accoglie il ricorso in epigrafe, nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, ordina all’ISVAP, di far esaminare al ricorrente il provvedimento conclusivo del procedimento, mediante esibizione in visione e/o con diritto ad estrarne copia;
-condanna l’ISVAP, quale rappresentata, al pagamento delle spese di causa, che si liquidano, per onorari di avvocato, diritti di procuratore e spese vive, in complessivi €1500= (millecinquecentoeuro).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 25 marzo 2004.
-Antonio CATONI presidente
-Dino NAZZARO consigliere estensore
IL Segretario di udienza
Pubblicata mediante deposito in segreteria in data 08.04.2004
IL Direttore di Segreteria
Responsabilità della P.A. per omessa manutenzione della strada pubblica
Giudice di Pace Lecce, sentenza 16.03.2007
Nel caso di danni subiti da un pedone a causa delle cattive condizioni della strada, l’ente proprietario è tenuto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre non trova applicazione l’art. 2051 c.c. pur trattandosi di una P.zza di limitate dimensioni e quindi sottoposta al costante controllo della P.A.
Lo ha stabilito il Giudice di Pace di Lecce, Avv. Anna Maria Aventaggiato, con una recente sentenza con cui è stata accolta la domanda di risarcimento dei danni patiti da un cittadino a causa della cattiva manutenzione della strada pubblica.
Nella specie, l'attore aveva riportato un trauma distorsivo al piede destro, a causa di un basolo sconnesso che, sebbene fosse livellato insieme agli altri masselli presenti, in realtà, era distaccato da questi ed era traballante, costituendo così una vera e propria insidia non visibile nè prevedibile.
Con la richiamata sentenza il Giudice di Pace di Lecce ha condannato l'A.C. proprietaria del tratto di strada percorso dall'attore rilevando che "seppur non si può ritenere una responsabilità della PA. per violazione dell'obbligo di custodia ex art. 2051 del c.c., per il noto orientamento giurisprudenziale che, in tema di beni pubblici demaniali, esclude l'applicazione di responsabilità ex ari. 2051 c.c., stante l'impossibilità di un controllo continuo e completo dell'intera rete stradale, tale da concretizzare il concreto presupposto della "custodia" la cui violazione rappresenta la ratio della norma, sussiste certamente la responsabilità del Comune ex art. 2043 del c.c. per violazione del principio del neminem laedere".
In particolare, secondo il Giudicante "la compiuta istruttoria, con la prova per testi assunta e la descrizione dei fatti cosi come emerge dagli atti di causa, tra cui il verbale di sopralluogo redatto dai VV. UU. di Lecce, consentono di ritenere, senza ombra di dubbio, che l'evento dannoso lamentato è da imputarsi a responsabilità del Comune di Lecce ex art. 2043 del c.c.".
Ha infine concluso il Giudice adito "Non vi è dubbio, dunque, che tale omissione da parte dell'ente pubblico abbia determinato una situazione di insidia e trabocchetto per il pedone che ha impegnato il tratto di strada de qua nell'erronea convinzione della tranquilla e sicura transitabilità della stessa, non avvedendosi, anche per il fatto che il dissesto riguardava una piccola parte della sede stradale, del suddetto ostacolo".
Il Giudice ha condannato, inoltre, l'AC convenuta al pagamento, in favore dell'attore, anticipatario, delle spese del giudizio liquidate in complessivi euro 850,00 per diritti ed onorario, oltre ad euro 100,00 per spese ed oltre, ancora, il 12,5% per Add.le, IVA e CAP come per legge.
(Altalex, 17 maggio 2007. Nota di Alfredo Matranga)